Le donne del Teatro Comunale di Modena

“Il teatro non è cosa per donne” è una frase celebre dell’attore e regista Carmelo Bene. Forse si riferiva alla fatica, alla durezza, del lavoro teatrale e dunque alludeva che le donne erano troppo deboli per affrontarlo.  Eppure le professioniste che lavorano a teatro, in particolare dietro le quinte, sono tante. Fanno parte di un mondo nascosto al pubblico eppure pulsante di abilità, esperienza e capacità: un mondo nel quale la tecnica si unisce a gesti che affondano la loro origine in tempi lontani. È il mondo dei macchinisti, degli attrezzisti, degli scenografi, dei sarti. Nulla senza di loro potrebbe esistere di quella “materia dei sogni” di cui il teatro è fatto. È artigianato in senso stretto, un’attività nella quale ogni prodotto è diverso dall’altro, e in ognuno c’è l’impronta della mano di chi lo ha fabbricato così come i pochi strumenti, spesso realizzati in proprio. Al Teatro Comunale Pavarotti, principale teatro lirico di Modena, due figure chiave nella messa in scena degli spettacoli sono donne: Keiko Shiraishi, una delle poche scenografe sulla scena teatrale nazionale odierna e Catia Barbaresi capo macchinista teatrale, unica donna in Italia a ricoprire questo ruolo in un ente teatrale stabile e una delle pochissime macchiniste in Italia.

KEIKO SHIRAISHI

E’ giapponese l’erede di cinque secoli di tradizione pittorica teatrale emiliana che arriva ai nostri giorni con i pittori modenesi Koki Fregni, Maria Grazia Cervetti e Rinaldo Rinaldi. Keiko Shiraishi è capo scenografa del Teatro Comunale, uno dei pochi teatri rimasti in Italia nella costruzione di allestimenti scenici. Significa che la maggior parte delle opere sono affidate ad artigiani con l’allestimento all’italiana di fondali e quinte dipinte a mano. Una tradizione che viene esportata in tutto il mondo, soprattutto nel caso degli scenografi esecutori. Gli italiani sono gli unici che ancora dipingono a mano, e a livello di eccellenza.

Keiko, parlaci dei tuoi inizi

Sono nata nel 1970 a Shizuoka, in Giappone.  Risale agli anni ’80 la mia prima esperienza come illuminotecnico e scenografa per la compagnia teatrale del Liceo regionale Kariyakita. All’età di 18 anni ho lasciato gli studi superiori per seguire mio padre in India, ingegnere della Toyota e responsabile dello stabilimento di Nuova Delhi. Lì mi sono dedicata agli studi universitari, ho studiato Musica Classica Indiana al Conservatorio e lingua italiana presso l’Ambasciata Italiana di Nuova Dehli. Nel 1993 sono arrivata a Roma per studiare all’Accademia di Belle Arti. Ho collaborato come apprendista al Teatro dell’Opera di Roma e come scenografa realizzatrice al Teatro di Roma. Ricordo di essermi presentata tutti i giorni per sei mesi per convincere il direttore del Teatro dell’Opera a farmi fare lo stage.  Grazie a Edoardo Sanchi sono diventata assistente di Rinaldo Rinaldi, tra i più importanti scenografi al mondo.

Come sei arrivata a Modena?    

Nel 1997 ho seguito Rinaldi a Modena e insieme abbiamo collaborato alla realizzazione pittorica di importanti opere commissionate dai più prestigiosi teatri lirici nel mondo. L’anno dopo sono entrata al Comunale prima come stagista e poi da scenografa. Non potendo essere assunta, in quanto straniera ed extracomunitaria, ho aperto la partita Iva e dal 2011 ho lavorato come scenografa libero professionista per diversi teatri e in modo continuativo, dal 2017, con il Teatro Comunale. Come libera professionista, ho firmato e realizzato scene di spettacoli teatrali per la Compagnia del Serraglio, Giardini Pensili, Teatro dei Cinquequattrini.

Come si costruisce una scenografia e quante ne hai realizzate?  

Sono scenografa specializzata nella costruzione di fondali dipinti a mano. E’ un mestiere puramente artigianale che sta ormai scomparendo. Il fondale è l’elemento scenografico più importante e si trova nello sfondo del palcoscenico. Nella mia carriera ho realizzato quaranta, tra scenografie e fondali dipinti a mano. Usiamo pennelli, tavolozze e colori, si lavora in piedi con le tele a terra. Occorrono tre mesi per realizzare una scenografia di ampie dimensioni mentre se la scena è piccola lo realizzo da sola e in un mese. E’ un’arte antica e difficile perché come realizzatore devo interpretare le intenzioni del bozzettista e prevedere l’effetto finale. Il lavoro finito è tutto finto, una illusione per il pubblico ma la tecnica per realizzare questi scenari è in realtà un’arte meravigliosa, quella praticata dai pittori di fondali che, appunto, dipingevano le ambientazioni che avrebbero fatto da sfondo alle storie.  

Progetti per il futuro?

Mi piacerebbe portare avanti la tradizione di questo antico mestiere, ormai in estinzione, proprio qui a Modena.  Oggi solo quattro pittori, in tutta Italia, dipingono i fondali, due lavorano sotto la Ghirlandina. Pochi sono i laboratori di scenografia mentre i fornitori sono quasi scomparsi. Gran parte del materiale viene autoprodotto: dai carboncini ai pennelli fino ai colori di scenografia. La città di Modena, essendo patria di artigiani importanti  nel mondo del teatro, come Rinaldo Rinaldi, uno degli ultimi pittori rimasti a dipingere fondali nella sala di scenografia di un teatro d’opera italiano, potrebbe pensare di investire in una scuola di scenografia rivolta alle nuove generazioni perché questo lavoro si impara solo facendolo.   

CATIA BARBARESI

E’ diplomata all’istituto d’Arte e specializzata in Architettura e Arredamento. Ma quando, nel 1997, Catia Barbaresi, originaria di Fano, ha messo piede per la prima volta nel Teatro di Fano, ha capito che il palcoscenico sarebbe stato il suo “luogo di lavoro”. Da più di vent’anni lavora come capo macchinista per il Teatro Comunale di Modena. Il suo compito è quello di montare le scenografie e farle muovere sulla scena durante lo spettacolo. Una magia, appunto, che si nutre di tecnica e sapienza del mestiere.

Qual è stato il tuo approccio al teatro?

Nel 1997, all’età di 20 anni, ho vinto un concorso al Teatro di Fano, la mia città di origine, ed ho iniziato subito a lavorare come macchinista. Sono entrata in questo mondo fantastico e per me è stato amore profondo grazie anche ad una sensibilità musicale trasmessa da mia nonna. Quello del macchinista è un lavoro complesso: bisogna mostrarsi determinati, soprattutto in un contesto lavorativo prevalentemente maschile. Io stessa sono stata formata da un uomo, il grande Maestro Angelo Lontani di Piacenza che ha contribuito a farmi amare questo mestiere. Probabilmente, poi, c’è una predisposizione familiare a fare lavori maschili. Mia mamma aveva un lavaggio d’auto e mia zia era un capo operaio in un cantiere navale. Lavoro stabilmente, dal 1998, al Teatro Comunale di Modena ma mantengo ancora collaborazioni esterne, tra queste quella importante con il Festival dei Due Mondi a Spoleto.

Cosa ti appassiona del teatro?

Il mondo del teatro è molto bello perché solo quando sei dentro capisci cos’è: è come aprire una porta spazio tempo dove le opere teatrali hanno il dono dell’immortalità.  E poi, il lavoro dei tecnici dietro le quinte: abili artigiani, pronti a trasformare in realtà le fantasie geniali dei registi. Vedere la mano che realizza è il momento più affascinante. Mi muovo nel ventre del teatro, in un mondo che gli spettatori non vedono. Ma grazie al lavoro dei tecnici, di chi sta dietro le quinte, lo spettacolo esiste. 

In cosa consiste il lavoro del macchinista?

I macchinisti si occupano della costruzione, montaggio e movimentazione delle scene, prima e dopo lo spettacolo e del loro funzionamento durante la rappresentazione. Quella del macchinista è un’arte molto antica e non è cambiata nel tempo: il mio lavoro consiste nella gestione della parte tecnica: legare corde, realizzare contrappesi per sollevare oggetti pesanti, costruire e manovrare i marchingegni del palcoscenico. A Modena lavoriamo in un team affiatato dove è importante trovare una sintesi tra le diverse esigenze, dal regista, allo scenografo al tecnico della luce. La mia figura fa da raccordo tra il lavoro tecnico e quello artistico. Come capo macchinista ho l’ultima parola sulle decisioni da prendere nella preparazione delle strutture portanti alle quali sono in seguito appese le luci e le scene, preparando e movimentando i tiri. E’ un lavoro molto affascinante ma di grandi responsabilità dove il lavoro di uno dipende il lavoro degli altri e dunque, ogni ingranaggio è ugualmente importante e deve funzionare con precisione, affinché il risultato finale sia un successo.  

Cosa consigli ad un giovane che vuole seguire le tue orme?

Avvicinarsi ai teatri non è difficile ma non è neanche così immediato. Il lavoro del teatro è molto duro, e la memoria dell’esperienza difficile da trasmettere. Per questo occorre salvaguardare il lavoro del teatro come mestiere d’arte, perché altri possano apprendere e tramandare alle generazioni successive. Il percorso che avvicina di più al mestiere è l’Accademia di Belle Arti cui deve seguire la crescita professionale mediante l’esperienza sul campo affiancando i maestri nell’apprendimento dei segreti e trucchi del mestiere.