Chi era davvero Enzo Ferrari quando si spegnevano i riflettori e si chiudevano le porte dei box? Dietro l’icona dell’automobilismo mondiale che ha costruito un impero a Maranello, c’era anche un lato più intimo e quotidiano: quello di un uomo che sedeva a tavola, che aveva i suoi riti, le sue preferenze semplici, le sue fragilità. A raccontarcelo oggi è Angela Bagatti, anche se per tutti, da sempre, è Giuliana, per oltre vent’anni la cuoca del Drake ma anche una testimone discreta delle sue abitudini e dei momenti privati. Angela ha infatti cucinato per Enzo Ferrari, per gli amici storici e per i tanti che gravitavano attorno al mondo Ferrari. In questa intervista, Angela ci apre le porte della memoria e ci accompagna in una dimensione domestica, fatta di minestroni, gelati serali e tortellini in brodo.
Angela, possiamo cominciare col suo vero nome? Perché tutti la chiamavano Giuliana?
No, il mio vero nome non è Giuliana. Io mi chiamo Angela, Angela Bagatti. Giuliana era un soprannome che si usava, ma il nome di battesimo è Angela.
Come ha conosciuto Enzo Ferrari?
Mio marito era l’autista di fiducia per la Ferrari, e abitava a Modena, in Largo Garibaldi. All’inizio Enzo aveva bisogno, e ci ha fatto trasferire lì, vicino a lui. Erano gli anni Sessanta, e abbiamo lavorato per lui per circa vent’anni. Ferrari abitava sempre a Modena, andava a Maranello solo per la pista o per qualche impegno.
Qual era il suo ruolo in casa Ferrari?
Lui aveva una cuoca fissa, ma quando non c’era, mi chiamava: “Angela, vieni per piacere, fai qualcosa da mangiare.” Tante volte mi capitava di cucinare in pista, quando si organizzavano le cene con l’avvocato Gianni Agnelli, Pietro Barilla, fondatore dell’impero della pasta, oppure con Sergio Scaglietti, il carrozziere del Cavallino. Alla sera cucinavo anche per sua moglie Laura. Poi tornavo a casa e preparavo la cena per lui e mio marito. Enzo mangiava poco, aveva già problemi di salute.
Cosa gli cucinava? Aveva piatti preferiti?
La sera spesso mangiava solo una bella ciotola di gelato, il mio minestrone oppure la tapioca per il gusto e la leggerezza. A pranzo invece gli piaceva mangiare bene. Diceva a mio marito: “Fermiamoci dove ci sono i camionisti, lì si mangia bene.” Era un amante della cucina emiliana, quella vera.
Qualche episodio particolare legato al cibo?
Una volta siamo andati in un ristorante che serviva tortellini con la panna. Lui li ha guardati e ha detto: “No no, io questi non li voglio mica. Se non sono in brodo, io esco.” Non voleva i tortellini con la panna. Solo in brodo, come si fa a Modena. Le lasagne invece gli piacevano molto, anche se poi, per i problemi di salute, doveva stare attento a quello che mangiava.
Ha mai cucinato per lui a casa sua?
Sì, in una tavernetta che avevamo. È venuto a mangiare con Scaglietti e con il professore. Gli ho fatto le crescentine con il pollo, una volta anche la polenta. Poi non è potuto più venire: era il periodo in cui doveva venire anche Papa Giovanni Paolo II in pista, ma lui era già molto malato.
Cosa le resta di quegli anni?
Tanto. Era un uomo particolare, duro ma con un lato umano che pochi conoscono. Per me è stato un onore cucinare per lui. Ogni volta che preparo il minestrone o vedo un piatto di tortellini in brodo, mi sembra di rivederlo lì, seduto a tavola, con quel suo sguardo serio e attento.