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Autore: Laura Corallo

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Francesca Amadori licenziata dall’azienda di famiglia, contenzioso si chiude con un accordo. La manager lavorerà altrove

Si chiude con un accordo e un addio la vicenda giudiziaria che ha visto schierati su fronti contrapposti Francesca Amadori e l’azienda di famiglia, dalla quale la manager era stata licenziata un anno fa e nei confronti della quale aveva fatto ricorso chiedendo un risarcimento di 2,3 milioni di euro. Il colosso romagnolo delle carni, a sua volta, aveva citato la donna di fronte al tribunale civile per 1,5 milioni di euro sostenendo di aver ricevuto un danno d’immagine. Ieri, la battaglia legale si è conclusa con un accordo extragiudiziale che “consentisse in primis la tutela dell’azienda, quale patrimonio della famiglia, dei dipendenti e della collettività intera”, si legge nella nota diffusa dal gruppo Amadori. L’accordo non segna, comunque, il ritorno di Francesca Amadori al suo posto di lavoro: i destini della nipote del fondatore e dell’azienda di famiglia si separano. “L’azienda augura a Francesca di poter fruttuosamente intraprendere un percorso professionale diverso, fondato sui suoi 18 anni di presenza in azienda nel corso dei quali la stessa ha dimostrato competenza e professionalità”, si legge in chiusura del comunicato stampa congiunto diffuso, che non dà ulteriori dettagli sui termini (anche economici) dell’intesa che chiude il braccio di ferro. Tutto è iniziato lo scorso anno con il licenziamento della donna, che in azienda si occupava di comunicazione e marketing. “Non si presentava al lavoro da molti mesi”, è la spiegazione fornita dall’allora amministratore delegato Francesco Berti (che nel frattempo ha lasciato l’incarico). Francesca accusa i vertici del gruppo Amadori di averla discriminata e fa causa. La prima udienza, a dicembre, si conclude con un nulla di fatto e l’invito del giudice a trovare un accordo.
Fonte Dire

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Socrate e il fatturato: i benefici del coaching

In tutta Europa il coaching in azienda è uno strumento efficace per migliorare le performance dei propri dipendenti e, di conseguenza, dell’intera organizzazione. Affiancare un coach ai dirigenti, leader e manager di talento significa quindi apportare una strategia aziendale di sviluppo proattiva basato sullo sviluppo e la crescita del lavoratore. Per saperne di più incontriamo la Dott.ssa Deborah Morgagni, responsabile del Coaching Club Emilia Romagna per capire quali sono i benefici che il coaching porta in azienda e qual è la situazione in Italia.
Chi è Deborah Morgagni e di cosa si occupa?
Sono una coach, formatrice e consulente. Da oltre vent’anni mi occupo di formazione, orientamento, sviluppo organizzativo e delle risorse umane. Sono anche Responsabile del Coaching Club Emilia Romagna, espressione territorale di AICP – Associazione Italiana Coach Professionisti, una delle più importanti Associazioni di Coach Italiane. Alessandra Di Luca è invece Vice responsabile del Coaching Club Emilia Romagna, che si confronta regolarmente e partecipa attivamente alla vita associativa.
In un recente convegno organizzato da AICP nell’ambito della “Primavera del Coaching” nella sede della Regione Emilia Romagna sono emersi i numerosi benefici che il coaching porta in azienda. Qual è l’idea di base di questi incontri?
AICP si impegna costantemente per divulgare una corretta conoscenza del coaching e dei suoi principi ispiratori e per garantire la crescita e la massima professionalità dei soci. L’associazione professionale è iscritta nell’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ex legge 4/2013. L’idea è quella parlare di coaching e dei benefici che può portare alle aziende ed alle persone che le compongono a partire da testimonianze concrete di lavoratori e organizzazioni che lo hanno sperimentato facendo emergere la sua funzione di catalizzatore della crescita (performance/ fatturato), che porta benessere ed auto-realizzazione (Socrate) a livello individuale e a tutto il contesto organizzativo.
Cos’è il coaching per le aziende e a chi è rivolto?
Questa metodologia può essere applicata in diversi ambiti, da quello personale (life coach) a quello sportivo, familiare, scolastico/formativo, di carriera, ecc. In particolare il coaching in azienda è inteso come intervento rivolto all’azienda/organizzazione per supportare e sviluppare le capacità e le potenzialità delle sue risorse umane al fine di promuovere una migliore performance coerentemente alla mission, alla vision e alle strategie in atto dell’impresa stessa. Il coaching nelle organizzazioni è un catalizzatore della crescita e del cambiamento, che porta benessere ed auto-realizzazione, sia a livello individuale che di contesto organizzativo.
Quali sono i benefici per le aziende?
Il Coaching è una metodologia particolarmente apprezzata per la personalizzazione, in funzione delle esigenze del cliente, e per i risultati misurabili in tempi relativamente brevi. In pratica Il coaching è “tagliato sulla persona”, si concentra sui bisogni del singolo, sulle sue aree di miglioramento, intervenendo sulle sue convinzioni limitanti e sull’autoconsapevolezza del cliente. Mettere la persona al centro, assegnarle il ruolo di “esperto”, farla sentire capace di riflettere, imparare e ricomporre il proprio sapere verso nuove soluzioni, va sentire la persona stessa molto valorizzata e responsabilizzata, aumentandone la motivazione in modo esponenziale.
Un ulteriore elemento di grande efficacia del coaching risiede inoltre nella sua concretezza e nel lavoro one-to-one che lo caratterizza e che consente di tradurre in comportamenti concreti le idee acquisite. In tal senso è opportuno sottolineare quanto il coaching richieda una forte autoresponsabilizzazione e una reale disponibilità al cambiamento da parte del cliente. Altro elemento di pregio concerne il suo “pragmatismo”, cioè la sua focalizzazione su obiettivi chiari, concreti, misurabili, monitorabili e, dunque, facilmente valutabili. Tra i principali benefici, solo per ricordarne alcuni, possiamo citare la riduzione di errori e/o attività duplicate, l’aumento della produttività, il miglioramento delle vendite e delle azioni commerciali, la risoluzione di conflitti, la migliore gestione delle informazioni.
Quali caratteristiche e competenze deve avere la figura del coach aziendale?
Quella di coach è una professione emergente che richiede studi specifici, competenze diversificate e la conoscenza dei contesti in cui si interviene. AICP offre alcune di queste risorse e, soprattutto, svolge un ruolo di indirizzo, orientamento e formazione permanente per i soci e per chi si avvicina al mondo del coaching. E’ fondamentale per l’Associazione avere chiare per se stessa e per i suoi associati le competenze distintive di un coach. Perciò, partendo da un modello delle competenze (Del Pianto, 2008), sono state declinate, secondo le tradizionali macro aree del sapere, saper fare e saper essere, le competenze del coach trasversali attuali e, con l’aggiunta del saper divenire e del saper stare insieme, le competenze trasversali potenziali (e potenziabili) del coach AICP. Il modello di competenze distintive AICP è presentato e illustrato qui: http://www.associazionecoach.com/associazione/le-competenze-distintive/
Il coaching aziendale, rispetto ad altri paesi europei, è poco conosciuto. Quali sono gli ostacoli che impediscono una diffusione piena di questo strumento per la risoluzione di problemi?
In effetti il coaching è una disciplina relativamente nuova in Italia, anche se si è affermata da oltre 50 anni nel mondo anglosassone grazie a Timothy Gallwey, fondatore dell’Inner Game, e Sir John Whitmore, pioniere del coaching nelle organizzazioni (recentemente scomparso), anche se le sue radici possono essere rintracciate nella filosofia greca antica, con particolare riferimento al pensiero di Socrate. Stiamo certamente assistendo ad una crescente diffusione della metodologia anche nel nostro paese Italia (in pochi anni i Italia i professionisti del coaching sono passati da qualche centinaio a circa seimila), seppur non raggiungendo certamente i livelli di applicazione degli Stati Uniti e la corretta e specifica conoscenza dei principi metodologici che la caratterizzano. Il metodo del coaching ha specifiche caratteristiche distintive ed elementi peculiari che lo identificano rispetto ad altre pratiche organizzative e discipline orientate allo sviluppo personale, professionale ed organizzativo, quali la psicologia, il counseling, il mentoring la consulenza, la formazione.Proprio in tal senso AICP si impegna per divulgare attraverso l’impegno sul territorio una corretta conoscenza del coaching e dei suoi principi ispiratori. Citando TimothyGallwey possiamo affermare che l’essenza del coaching “è liberare le potenzialità di una persona perché possa portare al massimo il suo rendimento: aiutarla ad apprendere piuttosto che limitarsi ad impartirle insegnamenti”.
In definitiva, chi è il coach?
Per definire la figura del coach mi affido alla definizione Jane Turner, esaustiva e caratteristica al tempo stesso :“Né psicoterapeuta né giudice, ed ancor meno consigliere e formatore, il Coach, artista del far domande e del far riflettere, gioca un ruolo di specchio e di catalizzatore. Creatore di una sinergia positiva, offre alle persone accompagnate uno sguardo nuovo su se stesse e sulle situazioni che affrontano, aiutandole così a migliorare la loro performance, incoraggiandone al tempo stesso l’evoluzione personale e professionale”

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Qual è la differenza tra Hard Skills e Soft Skills?

Nelle descrizioni delle mansioni, i datori di lavoro spesso richiedono un mix di competenze tecniche e competenze trasversali. Le hard skills si riferiscono a specifiche conoscenze tecniche e alla formazione, mentre le soft skills sono tratti della personalità comme la leadership, la comunicazione o la gestione del tempo. Entrambi i tipi di abilità sono necessari per il successo e l’avanzamento nei vari settori professionali.

Le principali differenze tra hard skills e soft skills risiedono nel modo in cui vengono acquisite e utilizzate sul posto di lavoro. Le hard skills sono spesso acquisite attraverso l’istruzione o una formazione specifica. Includono abilità come utilizzare una determinata macchina, software o altro strumento. Le competenze trasversali sono più spesso considerate tratti della personalità che potresti aver passato tutta la vita a sviluppare. Sono chiamati quando gestisci il tuo tempo, comunichi con altre persone o affronti per la prima volta una situazione difficile. In altre parole, le hard skills possono essere definite comme le tue conoscenze tecniche, mentre le soft skills sono le tue abitudini generali sul posto di lavoro.

LE HARD SKILLS

Le hard skills sono le conoscenze tecniche o la formazione che hai acquisito durante la tua vita, anche durante la tua carriera o gli studi. Ogni lavoro richiederà determinate abilità tecniche specifiche per quel settore.Per esempio:

1. Se hai lavorato nel settore della ristorazione o della vendita al dettaglio, potresti saper gestire uno o più punti vendita.
2. Se hai seguito un corso di contabilità, potresti sapere utilizzare Microsoft Excel.
3. Se hai studiato una lingua straniera, potresti essere in grado di parlarla fluentemente.
4. Se vuoi lavorare come architetto, ad esempio, dovrai sapere come utilizzare un software di disegno.

Alcune delle hard skills più richieste includono

Bilingue o multilingue
Gestione del database
Pacchetto software Adobe
Sicurezza della rete
Marketing SEO/SEM
Analisi Statistica
Estrazione dati
Sviluppo mobile
Progettazione dell’interfaccia utente
Gestione delle campagne di marketing
Sistemi di archiviazione e gestione
Linguaggi di programmazione (come Perl, Python, Java e Ruby)

LE SOFT SKILLS

Le competenze trasversali sono abitudini e tratti personali che modellano il modo in cui lavori, da solo e con gli altri. La comunicazione effice, ad esempio, è una soft skill essenziale richiesta da molti datori di lavoro. Altri richiedono l’affidabilità, il lavoro di squadra e l’ascolto attivo.

Le competenze trasversali sono essenziali per la tua carriera e nella tua ricerca di lavoro. Mentre sono necessarie competenze tecniche per svolgere con successo le attività tecniche di un lavoro, sono necessarie competenze trasversali per creare un ambiente di lavoro positivo e funzionale. Questo è il motivo per cui i datori di lavoro cercano spesso persone che abbiano comprovate soft skills e hard skills. Alcuni datori di lavoro potrebbero preferire selezionare candidati che possiedano un insieme più ampio di competenze trasversali rispetto a quelle tecniche, poiché le competenze trasversali a volte sono più difficili da sviluppare.

Ad esempio, potresti essere alla ricerca di un lavoro nel settore delle risorse umane ma non hai familiarità con gli strumenti di analisi dei dati. Se però possiedi referenze che possono attestare l’efficacia delle tue competenze trasversali, come empatia, apertura mentale e comunicazione, un datore di lavoro potrebbe preferirti rispetto a un altro candidato le cui competenze tecniche sono più forti ma che non ha lo stesso livello di competenze trasversali .

Alcune delle competenze trasversali più richieste:

Integrità
Affidabilità
Comunicazione effettiva
Apertura mentale
Lavoro di squadra
Creatività
Risoluzione dei problemi
pensiero critico
Adattabilità
Organizzazione
Voglia di imparare
Empatia

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Il lavoro dei prossimi anni avrà queste caratteristiche

Il lavoro del futuro sarà flessibile, deskless e smart. Questo è il risultato di una tendenza sempre più diffusa in cui le aziende stanno adottando nuove tecnologie e modelli di lavoro per migliorare l’efficienza e la produttività.

Un’indagine sul mondo del lavoro
Boston Consulting Group (BCG), multinazionale di consulenza americana, ha redatto uno studio intitolato “The Employer’s Report Card on the Future of Work” per determinare quanto le aziende siano pronte ad abbracciare il cambiamento. Il sondaggio è stato condotto attraverso interviste con manager di circa 350 aziende in 47 paesi in tutto il mondo, oltre un terzo dei quali erano nella C-suite (all’insieme dei dirigenti più importanti di una azienda). Hanno fornito le loro prospettive sull’importanza di 12 dimensioni chiave per lo sviluppo del lavoro verso modelli futuri e sui progressi compiuti dalle aziende verso questi indicatori. Le dimensioni possono essere suddivise in quattro macro categorie: come lavoriamo, come conduciamo il lavoro, come ci organizziamo e di cosa abbiamo bisogno.

Matteo Radice, Direttore Direttore e Partner di BCG, ha spiegato: “I grandi eventi che hanno investito la società moderna negli ultimi anni hanno accelerato trasformazioni latenti, dando una spinta al mondo del lavoro che, se sfruttata, può generare un valore significativo per le aziende e soddisfare le rinnovate esigenze dei lavoratori. Pertanto, per essere veramente pronte alle sfide del futuro del lavoro, le aziende devono investire tempo e risorse per evolversi in modo appropriato.”

Contratti a tempo determinato con meno vincoli: cosa può cambiare

Complessità a livello globale e italiano
Le aziende globali sono ancora indietro nella trasformazione in dimensioni orientate alle persone. Solo il 9% è all’avanguardia nella leadership generativa e solo il 5% ha una ricerca di talenti nuovi e diversi. Alcune aziende hanno fatto progressi nella cultura aziendale e nei nuovi modelli di lavoro, ma la maggior parte è ancora alle prime fasi.

A livello globale, si riscontra una tendenza a concentrarsi sui dipendenti con lavoro da remoto rispetto ai deskless, cioè quelli senza un luogo di lavoro fisso, che costituiscono più della metà della forza lavoro globale. Le iniziative per i lavoratori senza scrivania sono in ritardo, con il 38% delle aziende che non implementa flessibilità o benefit differenziati e il 37% dei lavoratori deskless che rischia di lasciare il lavoro per mancanza di flessibilità. Il principale ostacolo alla flessibilità è l’impatto negativo sulla cultura aziendale per i dipendenti.

In Italia, ci sono differenze con i dati globali. L’Italia è avanti in apprendimento continuo, tecnologia e leadership generativa, ma indietro in relazioni con i clienti, valore per i dipendenti e leadership sociale. Le priorità italiane sono organizzazione del lavoro, apprendimento continuo e impatto sociale, mentre la ricerca di nuovi talenti è meno importante.

Maternità flessibile, importanti novità: come funziona adesso e come averla

Il lavoro sarà flessibile, deskless e smart
Il lavoro flessibile sta diventando sempre più popolare tra i dipendenti, che vogliono essere in grado di lavorare da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Questo modello offre ai lavoratori la possibilità di adattare il loro lavoro alle loro esigenze personali, aumentando così la soddisfazione sul lavoro e la qualità della vita. Le aziende, a loro volta, beneficiano di una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse umane e di una maggiore produttività dei dipendenti.

Con l’avvento della tecnologia mobile, il lavoro “deskless”, senza scrivania, sta diventando sempre più diffuso. Questo modello di lavoro dà ai dipendenti la chance di lavorare in movimento, utilizzando dispositivi mobili come tablet e smartphone. Ciò significa che gli impiegati possono essere più efficienti e produttivi, poiché possono operare ovunque e in qualsiasi momento.

Il lavoro smart implica l’utilizzo di tecnologie avanzate per automatizzare e semplificare i processi lavorativi. Questo include l’utilizzo di intelligenza artificiale, machine learning e analisi dei dati per migliorare l’efficienza e la produttività del lavoro.

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Ferie illimitate, nasce un nuovo modello: le aziende che l’hanno già adottato

Continua la rivoluzione dei modelli di lavoro portata avanti dalle Big tech che, dopo il sempre maggiore spazio concesso allo smart working, esplorano nuove frontiere sull’organizzazione da adottare in azienda togliendo ai propri dipendenti il limite alle ferie che possono chiedere. L’ultima multinazionale ad adottare questa politica è stata Microsoft, mandando al suo personale una mail sulla falsariga di quella inviata da Netflix, Adobe, Salesforce, LinkedIn e Oracle ai propri impiegati.

Ferie illimitate, nasce un nuovo modello: il piano di Microsoft
Nell’avviso diretto esclusivamente ai lavoratori delle sedi presenti negli Stati Uniti, Kathleen Hogan, chief people officer di Microsoft, ha comunicato la svolta dell’introduzione di un piano di “Discretionary Time Off” (Dto) ovvero “Tempo libero discrezionale” per tutti.

La nuova politica prevede che i dipendenti possano decidere in maniera autonoma i propri giorni di riposo, senza doverli prima accumulare. “È cambiato radicalmente il come, il quando e il dove si svolge il nostro lavoro”, scrive Hogan nella nota interna “dato il nostro processo di trasformazione, modernizzare la nostra politica sulle ferie, introducendo un modello più flessibile, è stato un passo naturale” (qui avevamo parlato della settimana di lavoro corta anche in Italia).

Il nuovo piano di ferie entrerà a regime a partire dal 16 gennaio ed interesserà anche i neoassunti che potranno usufruire quindi da subito dei giorni di riposo.

Oltre a questa nuova politica di ferie lasciata alla discrezionalità di ogni dipendente, Microsoft ha previsto anche 10 giorni di assenza dal lavoro in più, tra festività aziendali, permessi, assenze per malattia e salute mentale e assenze per servizio di giuria o lutto familiare.

Un portavoce dell’azienda ha spiegato che la concessione di ferie senza limiti può essere anche un vantaggio per i datori di lavoro stessi che, oltre a non dovere riconoscere ai dipendenti che si dimettono a che vengono licenziati risarcimenti per eventuali ferie non godute, grazie al nuovo modello possono risparmiar tempo in burocrazia e in altre attività amministrative.

L’azienda ha però inoltre precisato di aver preso in considerazione le possibili storture che un modello organizzativo può portare e che lavorerà per garantire un minimo di giorni di ferie (qui il caso di un lavoratore che ha ricevuto 100 giorni di ferie dai colleghi).

In questo programma di riforma della propria organizzazione interna, la multinazionale informatica statunitense ha stabilito inoltre un bonus, per le ferie accumulate e non godute: i dipendenti che hanno un saldo ferie non utilizzato riceveranno un pagamento una tantum ad aprile, di cui però non è stato ancora reso noto l’ammontare.

Al momento il nuovo modello sarà valido soltanto negli Stati Uniti e questo perché per Microsoft, che nel 2022 ha licenziato mille persone ovvero l’1% della sua forza lavoro, è difficile applicare lo stesso modello di ferie illimitate in altri Paesi che seguono diverse normative sul lavoro rispetto a quelle in vigore negli Usa (qui avevamo spiegato cosa dice la legge sulle ferie pagate non godute).

Sono tutte decisioni che rientrano in una nuova politica di welfare aziendale che Microsoft sta portando avanti dal 2021, cominciando da un bonus di 1.500 dollari concesso a tutto il personale come sostegno per la pandemia e con il puntare su un uso più esteso dello smart working.

Ferie illimitate, nasce un nuovo modello: quali aziende le concedono
Con questa sua rivoluzione interna, il colosso tecnologico fondato da Bill Gates segue altre aziende del settore che hanno adottato già da tempo questo tipo di politica sulle ferie a discrezione dei dipendenti: oltre alle già citate Salesforce, LinkedIn, Oracle, Netflix e Goldman Sachs ma solo per i dipendenti senior, secondo un’indagine del 2021 di XpertHR, circa il 4% delle aziende statunitensi prevedeva piani di ferie illimitate.

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Imprese: cresce l’innovazione al femminile tra le start up

Malgrado la pandemia, l’innovazione al femminile cresce. Sono 2mila le start up innovative femminili registrate a fine settembre 2022, 572 in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Proprio a cavallo dell’epidemia da Covid 19, insomma, molte donne hanno dato vita a questa particolare tipologia di impresa, costituita nella forma di società di capitali, specializzata nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico. Come mostrano i dati elaborati da InfoCamere per l’Osservatorio sull’imprenditorialità femminile di Unioncamere, le innovatrici rappresentano il 13,6% del totale delle start up, una quota analoga a quella registrata due anni prima (13,5%). Ma la loro crescita, in questo biennio, è stata notevole (+40%). “La crescente propensione delle donne a impegnarsi in settori imprenditoriali più innovativi, oggi in gran parte ancora appannaggio degli uomini, è un fatto certamente positivo – sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete –. Speriamo che sempre più giovani vogliano seguire questo esempio, scegliendo di laurearsi in discipline Stem, oggi tanto ricercate dalle imprese”.

Settori
Oltre il 70% di queste duemila imprese femminili opera nei servizi alle imprese (1.455). Poco più del 15% invece nelle attività manifatturiere (306) e il 4,6% nel commercio (91). Quote residuali sono attive negli altri settori economici. L’aumento considerevole delle start up innovative va del resto di pari passo con il crescente impegno delle donne nei settori a maggior contenuto di conoscenza, come i Servizi di informazione e comunicazione, le Attività finanziarie ed assicurative, le Attività professionali, scientifiche e tecniche, l’Istruzione e la Sanità e assistenza sociale, che oggi rappresentano quasi il 10% dell’universo femminile che fa impresa.

Diffusione sul territorio
L’innovazione al femminile ha il suo cuore pulsante in quattro regioni, che concentrano più del 50% del totale delle imprese guidate da donne di questa tipologia: Lombardia (470), Lazio (263), Campania (204), Emilia Romagna (143). In valori assoluti, invece, i saldi più consistenti si sono registrati in questi due anni in Lombardia, Lazio, Campania e Toscana. Se si guarda invece alla totalità delle imprese femminili, queste sono più diffuse al Centro e nel Mezzogiorno, dove rappresentano oltre il 23% dell’imprenditoria totale, con punte del 27% nel Molise, del 26% in Basilicata, di oltre il 25% in Abruzzo e di più del 24% in Sicilia e in Umbria.

Le imprese femminili in Italia
Nel complesso, a fine settembre 2022, le imprese femminili sono più di 1 milione 342mila e rappresentano il 22,18% dell’imprenditoria italiana. Tra i settori a maggior tasso di femminilizzazione le Altre attività dei servizi (in cui le imprese femminili sono oltre la metà), la Sanità e assistenza sociale (37,21%), l’Istruzione (30,92%), le Attività dei servizi di alloggio e ristorazione (29,21%), l’agricoltura (28,13%) e il Noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese (26,54%).

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Dal Marocco a Verona, Hajar: “Sarò la prima magistrata con il velo”

“Sarò la prima magistrata con il velo“. Questa la storia di Hajar Boudraa, nata in Marocco 31 anni fa e cresciuta in Italia. A raccontarla è Daouda Sarè, redattrice della testata Black Post, progetto pensato per dare voce ai giovani con background migratorio per raccontare l’Italia plurale. Hajar Boudraa, riferisce la cronista, ha frequentato Giurisprudenza e ora esercita come viceprocuratrice a Verona: “Nel 2019 non aveva ottenuto la borsa di studio perché non era ancora cittadinanza italiana anche sulla carta. Per la giovane donna l’hijab è fede, libertà e coraggio. Nata in Marocco nel 1992, a 5 anni si trasferisce con la famiglia in provincia di Verona e poi, una volta terminate le scuole superiori, sceglie Trento per frequentare la prestigiosa facoltà di Giurisprudenza. Dal 2011 si è, quindi, stabilita definitivamente a Trento dove sogna di diventare magistrata. Al momento è iscritta alla Scuola di specializzazione per le professioni legali (Sspl) a Trento ed esercita come viceprocuratrice onoraria a Verona. Il velo ha avuto diversi significati per la giovane magistrata nel corso degli anni. “Ho deciso di indossarlo quando avevo 13 anni e devo ammettere che nel corso degli anni ha rivestito significati diversi” dice Boudraa. “Oggi per me è fede, libertà, identità e, in un mondo segnato dal conformismo, rappresenta anche un simbolo di forza e coraggio. Peccato che esso ‘spaventi’ a tal punto da rendere più difficile ad una donna velata l’accesso ad alcuni impieghi. È proprio in questo che trovo che non siamo noi donne velate ad avere un limite, bensì quella parte della società che la pensa in tal modo”.
Fonte DIRE

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Dati Unioncamere: lieve aumento delle imprese giovanili in Emilia-Romagna

Continua l’aumento delle imprese giovanili in Emilia-Romagna, secondo quanto emerge dai dati del Registro delle Camere di commercio elaborati da Unioncamere regionale. Alla fine del 2022 sono salite a quota 29.490 con un incremento di 265 unità (+0,9%) rispetto alla fine del 2021, soprattutto grazie alle costruzioni e ai servizi diversi dal commercio.
È proseguito, seppur più contenuto, il trend avviato con il primo trimestre del 2021. Al contrario, la tendenza si è confermata negativa per le imprese regionali non giovanili (-0,9%, -3.422 unità).
Dal 2018 l’andamento delle imprese giovanili regionali è risultato migliore di quello a livello nazionale, con la sola eccezione del secondo semestre 2020. Con l’avvio del 2021 il tasso di crescita (variazione) delle imprese giovanili regionali è divenuto positivo e forte e ha decisamente sopravanzato quello nazionale, che è risultato ancora negativo, come non era mai avvenuto in precedenza. A fine 2022 le imprese giovanili a livello nazionale sono diminuite di 11.269 unità (-2,4%) rispetto a un anno prima.
Sono le costruzioni (+7,6%) per una consistenza totale di 5.534 aziende e gli altri servizi (+1,4%), che raggiungono quota 12.358 unità, a sostenere la crescita. Prosegue, seppur in tono minore, il recupero di quelle attive nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (+0,7%), per un totale di 2.541 aziende.
I maggiori segni negativi arrivano dall’industria (-4,4%) e dal commercio (-3%) per un totale, rispettivamente, di 2014 e 7043 imprese attive. Fonte ANSA